La Gioconda: Il mistero del famoso dipinto di Leonardo da Vinci
Qual è il quadro più famoso al mondo? Non ci sono dubbi, ad ognuno torna in mente il celeberrimo ritratto di Leonardo da Vinci, genio ineguagliabile ed ineguagliato del Rinascimento italiano, la “Gioconda”. Ma questa sensazionale opera cela in sé moltissimi misteri ed enigmi, primo fra tutti quello sull’identità della donna, sulla sua particolare espressione, sulla storia del manufatto e sulle tecniche utilizzate dal maestro per realizzarla.
Ma andiamo con ordine: chi è la donna ritratta da Leonardo? Ad oggi noi sappiamo che la dama del quadro si chiama Monna Lisa, soprannominata Gioconda. Questa informazione ci è giunta tramite l’interpretazione di un passo dell’opera di Giorgio Vasari “Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori ed architettori”, dove parla di un’opera che il Maestro dipinse per Monna Lisa Gherardini, sposa di Francesco del Giocondo. In questa storia ci sono tantissimi dettagli che non collimano e che fanno pensare che il quadro a cui si riferisce il Vasari sia un altro, oggi andato perduto e vi spiego il perché. Vasari, che mai conobbe Leonardo e mai vide la Gioconda, parla nel suo testo di una testa, non di un ritratto, inoltre ci descrive così la Monna Lisa: «Gli occhi presentavano quell’aspetto lucido e umido che si vede dal vero; e attorno a essi c’erano quelle venature rosse e i peli che si possono dipingere solo con grande perizia. Le ciglia non potevano essere più naturali…», ma, come è evidente, il volto della Gioconda, così come lo conosciamo, non ha sopracciglia o peli. Un altro dettaglio che sottolinea è la dolcezza delle fossette sulle guance che però la Monna Lisa non ha. Quindi la descrizione che ne fa l’artista aretino non coincide affatto con il quadro, che in realtà non è una tela ma pensi una tavola lignea, della Gioconda esposta al Louvre, anche se, ad onor del vero, Leonardo ritoccò moltissime volte l’opera e un’analisi ai raggi X ha permesso di rilevare tre versioni sotto quella definitiva.
Il professor Carlo Predetti, massimo studioso e conoscitore di Leonardo da Vinci, ha avanzato un’ipotesi molto interessante e affascinante sull’identità della donna: pare che, studiando documenti storici, il Pedretti avrebbe trovato una dichiarazione fatta dal genio rinascimentale durante un colloquio con Luigi d’Aragona, potente religioso, dove ammetteva che quest’opera gli era stata commissionata in realtà da Giuliano de’ Medici, figlio di Lorenzo il Magnifico e fratello di Leone X, nell’aprile 1515, in ricordo dell’amante morta di parto, Pacifica Brandani, madre di Ippolito, che Giuliano riconobbe come suo figlio subito dopo. Alcuni elementi confermerebbero questa teoria: l’espressione enigmatica, rassegnata e quasi serena della dama, il sottile velo di seta nera che porta sul capo, la mancanza di anelli e di collane, le mani giunte e libere da oggetti, fanno pensare al ritratto di un defunto. Inoltre una ricerca canadese di circa dieci anni fa ha anche ipotizzato, dopo averlo più volte analizzato, che il sorriso della dama del ritratto possa essere legato ad una recente maternità.
Quando Giuliano de’ Medici morì nel 1516, Leonardo probabilmente non aveva ancora terminato l’opera, e quindi la portò con sé in Francia, donandola poi ad un discepolo, Gian Giacomo Caprotti che la vendette a peso d’oro al re di Francia, Francesco I (questo fa decadere le accuse spesso rivolte ai francesi su un possibile furto dell’opera: è stata regolarmente acquistata!).
L’ipotesi più credibile è che a Leonardo furono commissionati due ritratti, uno di Lisa Gherardini e un altro di Pacifica Brendani, e uno sia andato perduto. Ma ci sono tante altre supposizioni, nessuna mai confermata, circa l’identità della dama: alcuni studiosi pensano si tratti di Isabella d’Este, chiamata “Monna d’Isa”, tra le signore più potenti e rappresentate del Rinascimento, alla corte della quale Leonardo, effettivamente, soggiornò. Ipotizzano anche possa trattarsi di Costanza d’Avalos, nobilissima dama spagnola stabilitasi con la sua famiglia a Napoli o addirittura il discepolo Salai travestito da donna (che alcuni hanno insinuato fosse l’amante di Leonardo).
Il suo leggendario ed enigmatico sorriso è stato al centro di molti studi: analizzato di recente dai ricercatori dell’Università di Friburgo, in Germania, curiosi di stabilire una volta per tutte il tipo di espressione, è venuto fuori dai test effettuati, che la Monna Lisa è “felice”. Durante i test, sono state somministrate otto immagini distorte della Gioconda ai parteciparti che nel 90% dei casi hanno affermato che il sorriso appartiene a una persona felice.
Altri enigmi da decifrare riguardano la veridicità dell’ipotesi circa l’incompiutezza dell’opera. Infatti si notano affioramenti di colori di base, come ad esempio in alto, a destra vicino alla cornice, si nota un piccolo tratto color blu brillante, che non può essere il colore originale del cielo, come alcuni critici scrivono bensì il colore di fondo, mentre il color marrone affiora a chiazze dietro le spalle della Monnalisa, lasciando intendere agli studiosi che l’opera doveva essere ancora ultimata.
In passato vari critici d’arte hanno avanzato l’ipotesi che i colori originali del vestito potessero essere diversi dagli attuali e che originariamente ai lati della donna ci fossero due colonne (attualmente si vedono solo degli accenni). Credevano addirittura che la tavola fosse stata segata tagliando così le colonne, ma un’accurata analisi ha escluso ogni possibile manomissione del capolavoro, anche se più volte è stato danneggiato, sia volontariamente, colpito più volte con oggetti contundenti da mitomani, sia accidentalmente a causa dell’umidità che ha deformato la tavola e a causa di una disastrosa pulitura con solvente effettuata nel 1809 e la successiva applicazione di una vernice che provocò la comparsa delle screpolature visibili oggi e che la rese molto opaca.
Un altro attentato all’incolumità di questa stupefacente opera è stato il furto avvenuto nell’aprile del 1911. La polizia brancolò nel buio per moltissimo tempo, accusando del furto inizialmente il poeta francese Apollinaire e interrogando anche Picasso, fino a quando, due anni e mezzo dopo il direttore degli Uffizi di Firenze si rese conto di aver intercettato l’opera rubata. Fu l’italiano Vincenzo Peruggia, un ex impiegato del Louvre ad aver sottratto l’opera, convinto che il dipinto appartenesse all’Italia, e che i soldati Napoleonici lo avessero razziato e non dovesse quindi restare in Francia. Lo aveva liberato dalla protezione in vetro e dopo essersi rinchiuso per tutta la notte in uno sgabuzzino, uscì, col favore delle tenebre, dal museo a piedi con il quadro sotto il cappotto. Tenne con sé il quadro, appeso sul tavolo della sua cucina, per ventotto mesi, trascorsi i quali lo portò nel suo paese d’origine, Dumenza in provincia di Varese, con l’intenzione di “regalarlo all’Italia”. Con la volontà di rivenderlo ad un antiquario, si affidò ingenuamente a chi poi avvisò il curatore degli Uffizi che si prodigò per farlo tornare al Louvre. Il Peruggia venne considerato uno squilibrato e condannato a un anno e quindici giorni di prigione. Anche se il gesto fu totalmente sconsiderato e avrebbe potuto danneggiare irrimediabilmente questo straordinario capolavoro, contribuì a farlo conoscere mondialmente e ad erigerlo come icona di cultura e di sublime arte italiana.
Più volte la Gioconda è stata usata come emblema di innovazione: il dadaista Marcel Duchamp la raffigurò con dei baffi, intitolandola ironicamente “L.H.O.O.Q.”, che pronunciato in francese somiglia a “Elle a chaud au cul” che tradotto significa “Lei ha caldo al culo”, ovvero “è eccitata”. Andy Warhol creò una serie di raffigurazioni bicromatiche, Botero la rappresentò cicciottella e Banksy con un bazooka in spalla.
Al di là della grandezza artistica, della maestosità della tecnica e della raffinatezza dei dettagli, questo capolavoro è, a ragione, il simbolo dell’arte mondiale, il più celebre quadro esistente. Ancora una volta il grande ed immenso Leonardo si è fuso con le sue opere e, come in un gioco di specchi, è riuscito a farci dare uno sguardo alla sua infinita genialità.
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