L’uomo con la maschera di ferro
Chi non ha mai visto il celebre film con Leonardo di Caprio “La Maschera di Ferro”, dove l’attore americano veste i panni del fratello gemello del re di Francia Luigi XIV, costretto a vivere recluso nelle celle della Bastiglia con una maschera fatta totalmente in ferro per evitare che la discendenza al trono venisse messa in discussione? Possiamo assicurarvi che un uomo vissuto al tempo del Re Sole costretto a indossare una maschera e a vivere relegato dentro le mura di una prigione, è esistito davvero, ma che alcuni dettagli romanzati per donare poeticità al film sono solo fantasia degli sceneggiatori.
Il primo ad essere intrigato dalla storia dell’uomo con la maschera di ferro fu Voltaire, celebre personalità illuminista, che durante i periodi di reclusione all’interno della Bastiglia, venne a conoscenza di questa storia ed in particolare gli venne raccontato da alcuni suoi carcerieri che circa 30 anni prima, esattamente il 19 novembre 1703, nelle celle della Bastiglia morì un uomo, già molto anziano, posto sotto strettissima sorveglianza dal governatore Saint-Mars, a cui veniva riservato un trattamento molto speciale e che indossava una maschera. Una volta libero, Voltaire fece delle indagini per suo conto che le portarono a scontrarsi con un muro di silenzio: quello era uno dei segreti di stato meglio protetti di tutta la storia della monarchia francese. Chi era quell’uomo e perché mantenere la sua identità segreta era di così vitale importanza?
L’unica conclusione a cui si poté accostare Voltaire fu quella di un figlio illegittimo o del re o della regina, che potesse minacciare la stabilità della monarchia, talmente somigliante a Luigi XIV da dover tenere il volto costantemente coperto. Il filosofo ipotizzò che potesse trattarsi del figlio bastardo della regina Anna d’Austria avuto dal cardinale Mazzarino o dal duca di Buckingham, ma sconosceva alcuni particolari, resi noti solo dopo la sua morte, che rendono questa tesi poco credibile.
È di notevole importanza sottolineare che la gravidanza e il parto di una regina erano un affare di stato con troppi testimoni e relativi documenti che avrebbero reso troppo popolare una gravidanza di cui invece non si doveva venire a sapere nulla. Inoltre Voltaire aveva limitato le sue indagini agli ultimi venti anni di vita dell’uomo con la maschera, ignorando infatti che, dal 1669 al 1681, il poveretto era stato recluso nel carcere di Pinerolo, in Piemonte, escludendo così altri possibili scenari.
Altre ipotesi che ruotano intorno alla regina Anna sono state avanzate: passarono 23 anni dal giorno delle nozze al momento in cui la regina diede alla luce il piccolo Luigi, 23 lunghi anni che impensierirono tutti i francesi, la corte e soprattutto la famiglia reale, priva di eredi, tanto da far diffondere la diceria che il re fosse impotente; per ovviare a questa “disgrazia” si pensa che venne condotto un giovane nobile, bello e forte nelle stanze della regina per aiutarla a concepire il delfino di Francia, sotto un lauto compenso, con l’unica imposizione di non rivelare mai a nessuno questa storia. Probabilmente, in seguito al parto, il giovane gustò l’idea di rivendicare la paternità del piccolo Luigi, con l’inesorabile conseguenza di sconvolgere la ritrovata serenità della famiglia reale e per questo venne rinchiuso; forse l’incredibile somiglianza con il figlio lo costrinsero ad indossare per il resto dei suoi giorni una maschera, che in realtà, si scoprì da alcuni documenti, essere non in ferro, ma in velluto nero con dei ganci in ferro. Unica falla in questa ipotesi è che dal momento del concepimento di Luigi XIV nel 1638, al momento della morte del nostro misterioso uomo nel 1703, passarono ben 65 anni, che sommati all’età del giovane al momento dell’incontro con la regina, fanno supporre una durata di vita del prigioniero eccezionalmente lunga, molto rara per quel tempo, ma non impossibile.
Di certo l’uomo sotto la maschera di ferro doveva essere una personalità molto importante per meritare un trattamento quasi principesco in ogni prigione in cui veniva trasferito. Riuscendo a mettere insieme i pezzi di questa storia, che si evincono dalle testimonianze di carcerieri e ufficiali preposti alla sorveglianza, e dai documenti ufficiali e non dell’epoca, pare che l’uomo con la maschera venne affidato a Bénigne Dauvergne signore di Saint-Mars, fidato moschettiere del re, che lo ebbe in custodia dal 1669 a Pinerolo, roccaforte francese in Piemonte, di cui divenne comandante. Prima del suo arrivo venne dato ordine di ristrutturare una cella abbastanza ampia, di installare tre fila di sbarre alla finestra e di costruire tre porte in ferro per separare la cella dal resto del carcere. Questo era il luogo in cui “soggiornò” per 12 anni l’uomo con la maschera di ferro. Gli era interdetto parlare con chiunque tranne che con il suo confessore e con lo stesso Saint-Mars, il quale gli portava personalmente gli abbondanti pasti, gli procurava libri, strumenti musicali e ricchi abiti e lo trattava con referenza. Questi divenne la sua ombra, tanto da portarlo con sé prima al forte di Exilles, sempre in Piemonte, poi a Santa Margherita, nel golfo di Cannes e infine a Parigi, dove divenne comandante della Bastiglia. Qui l’uomo senza volto passò gli ultimi 5 anni della sua vita, pare ormai anziano.
Ma chi era quest’uomo per meritare un trattamento simile? E i lineamenti del suo volto erano davvero talmente noti da dover rimanere sempre celati al resto del mondo pena la morte? E perché, se si trattava di una personalità tanto scomoda da dover essere mantenuta segreta, non venne eliminata del tutto, metodo più cruento, ma purtroppo molto diffuso all’epoca, invece di portarla in giro per tutta la Francia e l’Italia, sempre in segretezza?
Recentemente sono emersi nuovi documenti che fanno invece pensare ad un’identità meno importante sotto la maschera rispetto a quella del gemello o del padre del re. Il corteo di Saint-Mars, ogni volta che veniva trasferito, era composto da sei prigionieri: una spia di nome Dubreil, un gentiluomo di nome Eustache Dauger coinvolto in scandali sessuali a Parigi, un monaco giacobino, un domestico di nome La Riviere, il sovrintendente delle finanze Nicolas Fouquet e il conte italiano Ercole Antonio Mattioli e tra questi doveva esserci l’uomo con la maschera. Gli indizi ricadono soprattutto su Nicolas Fouquet, ministro delle finanze di Luigi XIV, che si era appropriato indebitamente delle finanze della monarchia, accusato di peculato e lesa maestà, venne arrestato da D’Artagnan e su Ercole Antonio Mattioli, un conte italiano, ministro del duca di Mantova Carlo IV, informatore dei Savoia, e anche del re di Francia e di quello di Spagna, avrebbe fatto il doppio (o triplo) gioco ingannando la corona francese, spagnola e molti altri. Ma né per il ministro, né per il conte sembrerebbe necessaria una precauzione tanto pesante come quella di non mostrare mai il volto e di proferire parola alcuna con nessuno. Inoltre le date di morte non corrispondono con quella dell’uomo misterioso, avvenuta nel 1703: Fouquet morì nel 1680, mentre Mattioli nel 1675.
Oltre a Voltaire s’interessarono alla maschera di ferro molte menti brillanti dell’epoca, come Alexandre Dumas padre, che ne fece un personaggio nel suo romanzo “Il visconte di Bragelonne”, ultimo del Ciclo dei moschettieri.
Molti interrogativi rimangono aperti sull’identità di quest’uomo e troppi dettagli che non coincidono, continuano a rendere il mistero della maschera di ferro impenetrabile tutt’ora.
Soltanto alcuni punti restano fermi ed è proprio da lì che partono le moderne ricerche: il prigioniero sapeva qualcosa di estremamente grave, così grave che se si fosse saputo, avrebbe creato problemi alla famiglia reale o a qualche personaggio della corte o addirittura avrebbe potuto destabilizzare la monarchia francese; il motivo per il quale il volto dell’uomo doveva assolutamente restare celato era la notorietà dei tratti che avrebbe potuto facilmente portare ad un confronto, non sappiamo però con chi; ed infine la soluzione di far sparire con discrezione l’incomodo recluso (soluzione più semplice anche tramite i veleni, molto diffusi all’epoca) non era evidentemente praticabile e l’unica spiegazione plausibile è che vi erano degli impedimenti di carattere politico o affettivo.
L’uomo morì in preda alle convulsioni, probabilmente in seguito ad un attacco di cuore, il 19 novembre 1703, in una cella, che seppur dotata di parecchi agi, era stata tutto ciò che aveva visto nei suoi 34 anni di prigionia, prezzo che ha dovuto pagare una colpa molto grave o solo per sporchi giochi di potere.